Ridurre la trasmissione di COVID 19 e rafforzare la diffusione del vaccino tra le popolazioni migranti nell'UE/SEE: il report ECDC


8/6/2021
È stato recentemente pubblicato il report Reducing COVID 19 transmission and strengthening vaccine uptake among migrant populations in the EU/EEA dell’European Centre for Disease Prevention and Control, che ha avuto l’obiettivo di esplorare e valutare l'impatto di COVID-19 sulle popolazioni migranti nell’Unione europea (UE) e nello Spazio economico europeo (SEE), ma anche nel Regno Unito, e di identificare i fattori di rischio e di vulnerabilità delle popolazioni migranti ed esplorare considerazioni per garantire un'equa distribuzione dei vaccini anche presso queste popolazioni.

Per la stesura di questo rapporto, sono state condotte:
  • una revisione sistematica formale dei dati per valutare gli esiti clinici, l’impatto indiretto della pandemia sulla salute e le conseguenze a livello sociale, i fattori di rischio e la vulnerabilità dei migranti
  • una rapida revisione per documentare e valutare le problematiche principali relative alla vaccinazione COVID-19 nei migranti, e una chiave di lettura da parte degli stakeholders europei.
Sono stati pertanto utilizzati vari database, tra cui Embase, Web of Science, PubMed NIH, Scopus e siti quali chemRxiv, SSRNbioRxiv e medRxiv, con accesso facilitato attraverso il database dell'OMS Global Research on COVID-19 a partire dall'inizio e fino al 18/11/2020. A questa letteratura è stata aggiunta quella grigia appartenente alle statistiche nazionali, ai dati non pubblicati e ai rapporti pubblicati attraverso il gruppo consultivo del progetto e delle reti esistenti fino a maggio 2021. La qualità degli studi è stata valutata da due revisori. E’ stata quindi effettuata una rapida ricerca nell'ambito di PubMed NIH (fino a febbraio 2021) per esplorare e valutare i dati relativi a ostacoli alla vaccinazione, esitazione vaccinale e alla diffusione del vaccino contro COVID-19 nei migranti. Il gruppo consultivo, inoltre, si è riunito in 2 occasioni per ricevere input da una serie di Stakeholder europei della sanità pubblica, del mondo accademico, della società civile, delle organizzazioni non governative e del settore delle organizzazioni umane, per discutere i risultati delle revisioni della letteratura e per esplorare specificamente i modelli identificati di buone pratiche e le lezioni apprese.

Dai risultati del report emerge che alcune popolazioni di migranti possono essere ad alto rischio di esposizione e infezione da SARSCoV-2. Ad esempio, i set di dati provenienti dalla Norvegia hanno evidenziato che i migranti rappresentavano il 19% di tutti i casi segnalati, con un incremento fino al 42% nella settimana a partire dal 27 aprile 2020. In Danimarca, i migranti non occidentali e i loro figli hanno rappresentato il 18% dei casi (dal 29 aprile al 6 maggio 2020), ovvero il doppio della quota della popolazione danese, salendo al 26% in un aggiornamento successivo (7 settembre 2020). In Svezia (dal 13 marzo al 7 maggio 2020), il 32% dei casi positivi erano migranti, nonostante costituissero solo il 19% della popolazione.

I migranti provenienti da specifici gruppi nazionali e regionali sono risultati a maggior rischio di infezione da COVID19. La Norvegia ha riportato un tasso di incidenza molto alto tra la popolazione nata in Somalia (fino al 1 luglio 2020), e nell'autunno del 2020 il rischio risultava aumentato per i migranti da Pakistan, Iraq, Afghanistan, Serbia e Turchia. In un altro set di dati provenienti dalla Norvegia (periodo 15 giugno 2020-31 marzo 2021), i casi confermati erano più alti tra le persone nate in Pakistan, Somalia e Iraq. In Svezia l'incidenza di COVID-19 era stata più alta tra i migranti provenienti da Turchia, Etiopia e Somalia. In un altro set di dati completo dalla Svezia (periodo 13 marzo 2020-15 febbraio 2021) il rischio relativo di essere diagnosticati con COVID-19 era più alto per le persone nate nel Medio Oriente, Sud-Est Europa, Sud America, Africa, Asia e Oceania rispetto alle persone nate in Svezia.

I centri di accoglienza e di detenzione e i campi profughi sono noti per essere a rischio più elevato di focolai di COVID-19. Esempi di epidemie da COVID-19 sono state rilevate nei campi di Ritsona e Malakasa in Grecia; nel centro aperto Hal Far a Malta e nel centro di accoglienza Sneek nei Paesi Bassi. Per quanto concerne i dati su ricoveri, uno studio che analizza i dati del sistema di sorveglianza italiano (dal 20 febbraio al 19 luglio 2020) ha rilevato che il 7,5% di tutti i casi di COVID-19 riguardava cittadini stranieri che presentavano una maggiori probabilità di essere diagnosticati in ritardo e di essere ricoverati in ospedale e in un'unità di terapia intensiva, con differenze che sembravano più pronunciate nei soggetti provenienti da paesi con un indice di sviluppo umano più basso. I dati provenienti da Danimarca, Norvegia e Svezia hanno mostrato percentuali di migranti superiori al previsto tra i casi di COVID-19: il 42% di tutti i casi (fino al 27 aprile 2020) in Norvegia, il 26% in Danimarca (fino al 7 settembre 2020) e il 32% in Svezia (fino al 7 maggio 2020). In Italia e Spagna, gli studi hanno suggerito che i migranti potrebbero avere maggiori probabilità di essere ricoverati. Regno Unito, Paesi Bassi, Francia e Svezia hanno riportato una mortalità per tutte le cause significativamente più elevata nei migranti provenienti da specifici paesi/regioni nel 2020 rispetto alla popolazione ospitante e rispetto agli anni precedenti.

Alcune popolazioni migranti sono state colpite sproporzionatamente dalle restrizioni e dalle misure attuate per combattere la pandemia. La pandemia da COVID-19 ha avuto un notevole impatto diretto e indiretto, non solo sanitario, ma anche sociale, tra cui un aumento della discriminazione, blocchi prolungati e gravi restrizioni alla circolazione, restrizioni sui viaggi e chiusure delle frontiere che hanno fortemente limitato i ricongiungimenti familiari e le procedure di asilo. I migranti in ambienti di lavoro precari potrebbero essere stati inoltre ad aumentato rischio di perdere il posto di lavoro e fonti di reddito.

Per quanto concerne le vaccinazioni, è noto che alcune sottopopolazioni di migranti in Europa presentano livelli più bassi di vaccinazione di routine e atteggiamenti più diffidenti nei confronti della vaccinazione rispetto alla popolazione generale. In Europa, i migranti potrebbero risultare esclusi dai programmi di vaccinazione per una serie di motivi, tra cui il diritto/accesso legale al sistema sanitario, la presenza di barriere linguistiche e la mancanza di sistemi per coinvolgere e vaccinare i migranti adolescenti e adulti al loro arrivo. Altri fattori noti sono rappresentati da religione, educazione e ‘credenze’ che possono influenzare positivamente o negativamente la decisione sulla vaccinazione e la richiesta di informazioni ad essa relative.

Numerosi studi hanno dimostrato bassi tassi di vaccinazione contro COVID-19 in alcuni gruppi di migranti e minoranze etniche nell’UE/SEE. Strategie per ridurre la trasmissione e garantire un'equa diffusione del vaccino nelle popolazioni migranti nell'UE/SEE dovrebbero includere, come sottolineato dall'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, l'implementazione delle vaccinazioni ai gruppi di migranti emarginati, in modo da garantire che tutti i migranti all'interno dei loro confini, compresi i migranti privi di documenti, siano inclusi nei piani nazionali di distribuzione dei vaccini. Il Regno Unito ha eseguito un'iniziativa specifica che incoraggiava i migranti privi di documenti e altri gruppi a registrarsi presso le cure primarie e quindi di accedere al programma nazionale di vaccinazione. I governi olandese e spagnolo hanno garantito ai migranti privi di documenti pari accesso alla vaccinazione. In Francia e in Italia, i governi hanno specificamente affermato che i vaccini saranno gratuiti per ogni persona del paese.

Il gruppo consultivo dell'OMS ha identificato come gruppi prioritari per la vaccinazione contro COVID-19, i lavoratori migranti a basso reddito, i migranti irregolari e le persone impossibilitate a mantenere la distanza fisica, compresi coloro che vivono in campi e ambienti simili a campi.

L'ECDC ha classificato i "migranti e rifugiati" come potenziali gruppi target per campagne di vaccinazione COVID-19 e ha informato che le strutture con "scarsa capacità di distanza fisica", come i centri di accoglienza, case affollate e rifugi per senzatetto dovrebbero essere presi in considerazione al momento di decidere le priorità per la vaccinazione.

Saranno necessari approcci innovativi, inclusi furgoni mobili, centri di vaccinazione di massa, e sedi non cliniche per la somministrazione del vaccino ai migranti che devono affrontare barriere di accesso ai sistemi sanitari tradizionali. Sarà, inoltre, necessario una maggiore diffusione dell’informazione e della sensibilizzazione sui vaccini nelle comunità di migranti.

In conclusione, i risultati di questo report evidenziano che per raggiungere l’obiettivo di ridurre la trasmissione di COVID19, sarà necessaria l'inclusione di tutte le popolazioni, promuovendo l'equità sanitaria, i diritti umani e la copertura sanitaria universale.

A cura di:

  • Caterina Silvestri, Agenzia regionale di sanità della Toscana
  • Cristina Stasi, Centro Interdipartimentale di Epatologia CRIA-MASVE, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, AOU Careggi




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