L’epidemia da Covid-19 potrebbe accelerare il fenomeno della riduzione della natalità


5/5/2020
In Toscana come in Italia, dal 2008 si sta assistendo a una contrazione delle nascite, a seguito della crisi economica, ma anche per un effetto strutturale della popolazione: stanno uscendo dall’esperienza riproduttiva le generazioni di donne nate a metà degli anni ‘60, molto più numerose delle generazioni nate nelle decadi successive che hanno appena raggiunto o stanno raggiungendo le età feconde.
Nel 2019 nelle strutture toscane sono avvenuti 23.626 parti: il 27,7% in meno rispetto al 2010, quando i parti erano 32.659, e con un ulteriore calo del 5,4% rispetto al 2018.

Le cittadine straniere avevano compensato questo squilibrio strutturale fino al 2010, ma negli ultimi anni è diminuita anche la fecondità delle donne straniere: in parte per la diminuzione dei flussi femminili in entrata, in parte per le modifiche dovute al costante processo di acculturazione che rende i comportamenti delle donne straniere stabilmente residenti sul nostro territorio sempre più simili a quelli osservati nelle donne italiane, con conseguente riduzione della natalità. Nel 2019 nelle strutture toscane hanno partorito 6.610 straniere, 7,5% in meno rispetto al 2018.

Alla luce di queste premesse, viene da chiedersi che conseguenze può avere Covid-19 sullo scenario della natalità futura.

Al momento i pochi dati a disposizione sembrano escludere la trasmissione verticale dell’infezione, cioè il passaggio del virus dalla madre al feto e non ci sono segnalazioni che evidenzino specifiche preoccupazioni per le donne in gravidanza. Tuttavia il clima di paura e incertezza e le crescenti difficoltà di natura materiale (legate a occupazione e reddito) potrebbero influenzare in negativo le scelte di fecondità delle coppie.

L’ISTAT ha sviluppato dei modelli di simulazione di possibili scenari sugli effetti del Covid-19 sulla natalità secondo i quali l’impatto di Covid potrebbe accelerare la diminuzione della natalità.  Innanzitutto i ricercatori dell’ISTAT fanno presente che, mentre la stima delle nascite riportata dalle previsioni ISTAT per il 2019 in Italia variava tra 425mila e 449 mila unità, con una valutazione intermedia (mediana) di 441mila, il dato realmente osservato in quello stesso anno è stato di 435mila nati(1), un valore che appare compreso nell’intervallo di stima medio-basso. Ne segue che, dovendo realisticamente ipotizzare un numero di nascite per gli anni 2020 e 2021, in assenza di Covid-19, si potrebbe condividere lo scenario medio-basso delle previsioni e assumere come stima puntuale per il 2020 i 432.538 nati; mentre per il 2021 conviene passare alla condivisione di una valutazione intervallare entro un minimo di 422.420 nati (scenario basso) a un massimo di 432.689 (scenario medio-basso).

Effetto paura e incertezza (modello esperienza di Černobyl 1986)
I ricercatori dell’ISTAT hanno ipotizzato che l’incognita di un futuro incerto possa frenare le scelte di riproduttività nella popolazione italiana di oggi, così come accadde in seguito al disastro nucleare di Černobyl del 26 aprile 1986. L’Italia fu raggiunta dagli effetti della nube nelle giornate dal 2 al 4 maggio e la popolazione si trovò improvvisamente circondata da un clima di forte insicurezza, sia per la novità del pericolo, sia per l’impossibilità di percepirne la presenza, se non con strumentazioni tecniche non d’uso comune, così come per la scarsa conoscenza degli effetti, immediati e futuri, legati al contatto con elementi contaminanti di cui, in genere, nulla si sapeva. Nove mesi dopo la grande paura per l’arrivo della nube di Černobyl le nascite in Italia subirono una riduzione: al forte calo rilevato a febbraio 1987 – da porre in relazione con l’impatto negativo sui concepimenti del maggio 1986 – quantificato in un 10% di nati in meno rispetto al dato medio (dello stesso mese) nei bienni adiacenti (1985-1986 e 1988-1989), hanno fatto seguito analoghe contrazioni a marzo 1987 (-6%), aprile (-3%), maggio (-5%) e giugno (-2%) dello stesso anno.

Lo scenario di previsione ipotizzato ha previsto di applicare le variazioni mensili (al ribasso) delle nascite osservate in Italia nel 1987, sia a distanza di nove mesi dalla prima comparsa della nube tossica (maggio 1986), sia per ognuno dei successivi quattro mesi, a quanto sembra lecito prevedere nel 2020 e nel 2021 riguardo alla frequenza mensile di nati – in assenza di epidemia– assumendo come riferimento temporale nove mesi dalla prima comparsa di Covid-19 (previsione al dicembre 2020) e i quattro mesi successivi (di gennaio - aprile 2021). Tale modello sembra portare una perdita di circa 4mila mancate nascite in corrispondenza del mese di dicembre 2020 e complessivamente altri 5-6mila nati in meno per il 2021, persi durante l’intervallo che va da gennaio ad aprile. In totale, si avrebbe nel 2020 un numero annuo di 428.375 nati (6.625 in meno rispetto al 2019) e l’effetto Covid-19 inciderebbe unicamente con un calo di natalità pari allo 0,84%. Nel 2021 la frequenza di nati scenderebbe a 416.499 nell’ipotesi di minimo e a 427.356 in quella di massimo e l’effetto Covid-19 sarebbe responsabile di un ulteriore calo di natalità dell’1,3%.

Effetto shock - Modello disoccupazione
Il secondo modello di simulazione prevede di considerare il livello di disoccupazione come indicatore proxy del clima di disagio o di insicurezza economica nella popolazione e nelle famiglie.

Confrontando la serie dei tassi mensili di disoccupazione e la corrispondente serie mensile di nascite nel periodo gennaio 2004 - novembre 2019 si rileva una forte correlazione negativa (indice di correlazione: -0,8) e attraverso il calcolo del coefficiente di regressione lineare si identifica in circa 1.500 nati in meno l’ipotetico effetto riduttivo attribuibile a ogni punto di disoccupazione in più. Tali premesse rendono possibile verificare quali conseguenze deriverebbero, in termini di variazione della frequenza annua di nascite, dalla presenza di alcuni rialzi immediati (effetto shock) del livello di disoccupazione in Italia, immaginando che essi vengano protratti per un arco temporale che, secondo le diverse varianti, spazia tra i 6 e i 24 mesi a partire da marzo 2020. In particolare, simulando ipotetici aumenti del tasso di disoccupazione che variano tra un minimo di 2,5 punti percentuali a un massimo di 20 e assumendone il progressivo annullamento in epoca successiva, sino a convergere verso un ritorno ai valori di febbraio 2020, si avrebbero nel 2020 dai 314 ai 2512 nati in meno (secondo le diversi varianti delle percentuali di disoccupazione). Per il 2021 si avrebbe una riduzione del numero dei nati che andrebbe da un minimo di 1.106 secondo la variante occupazionale più ottimistica (crescita della disoccupazione di 2,5 punti percentuali e rientro nell’arco di un semestre) ai 23.967 nati in meno secondo lo scenario peggiore (crescita della disoccupazione di 20 punti percentuali e rientro in due anni).

Effetto paura e incertezza più effetto disoccupazione
Sommando i risultati dei due modelli, si perviene a uno scenario che propone, rispetto ai 435 mila nati del 2019, una riduzione che nel 2020 potrebbe mantenersi attorno a due punti percentuali (da -1,6% a -2,1% secondo le diverse varianti), mentre nel 2021 risulterebbe decisamente più accentuata. Infatti, nell’ipotesi di minimo, si registrerebbe nel 2021 un calo – sempre rispetto al dato del 2019 – del 4,5% secondo la variante occupazionale più ottimistica (crescita della disoccupazione di 2,5 punti percentuali e rientro nell’arco di un semestre) e del 9,8% secondo quella relativamente più pessimistica (+20 punti da recuperare in 24 mesi).

In conclusione il superamento al ribasso del confine simbolico dei 400mila nati annui, che originariamente nelle previsioni ISTAT del 2019(2) sarebbe avvenuto solo nel 2032 nell’ipotesi più pessimistica – senza peraltro essere mai contemplato fino al limite delle previsioni (2065) nell’ipotesi etichettata come “mediana” – sembrerebbe invece possibile qualora si realizzasse un rapido raddoppio del tasso di disoccupazione, seguito da un ritorno ai valori precedenti di marzo 2020, secondo un percorso di rientro spalmato nell’arco di circa un biennio.

A cura di Monia Puglia, ARS Toscana