Quotidianosanità.it - 11 dicembre 2013
E' quanto emerge dal
progetto Amphora, finanziato dalla Commissione europea. Il calo è dovuto in gran parte alla diminuzione del consumo di vino. Lo studio ha anche evidenziato che le variabili socio economiche e demografiche svolgono un ruolo fondamentale nell’indirizzare i mutamenti del bere.
11 DIC - Sono le
variabili socio-economiche,
culturali e
demografiche ad influire maggiormente sui mutamenti del consumo di alcol, ancor più delle politiche. E’ quanto emerge dal progetto Amphora, finanziato dalla Commissione europea dal 2008 al 2013, che ha studiato i modelli di comportamento e le politiche alcologiche attuate nei paesi dell’UE. Lo scopo: fornire nuove evidenze sul
consumo di alcol e sui
danni alcol-correlati, diffondere informazioni sui rischi per la salute e dare indicazioni utili a implementare politiche ed interventi efficaci. I dati mostrano però anche un riscontro assai positivo: in Italia negli ultimi 30 anni il consumo di alcolici è calato del 65%.
Il progetto ha inoltre posto l’accento su alcuni altri elementi-chiave che devono essere implementati in Europa, tenendo in debita considerazione le diversità locali:
-Aumentare i costi delle bevande alcoliche attraverso una maggiore tassazione, fissando un prezzo minimo per grammo di alcol.
-Bandire la pubblicità promozionale sull’alcol dai media, fornendo invece ai cittadini informazioni chiare sui rischi del bere, ad esempio con delle etichette sulle bottiglie che avvertano i consumatori dei rischi di quelle bevande.
La ricerca ha evidenziato che le diverse culture del nostro continente interagiscono in modo differente con le politiche di prevenzione alcologica, influenzando in modo altrettanto differente i cambiamenti del bere e dei danni alcol-correlati nella popolazione. Per aumentare le probabilità di successo nelle popolazioni del sud Europa è necessario che le politiche europee valutino le modalità mediterranee del consumo di alcol.
Per quanto riguarda l'Italia e la Toscana, negli ultimi 30 anni il consumo di alcolici si è ridotto del 65%, con importanti modifiche anche nelle modalità di consumo. Oggi nel nostro paese convivono 2 modelli diversi di consumo: quello tradizionale, il vino consumato ai pasti in famiglia, e quello più tipico dei paesi nordici, adottato dai giovani, che consumano birra, superalcolici e aperitivi in gran quantità, fuori dei pasti e concentrati in poche occasioni, soprattutto nel weekend.
All’interno del progetto Amphora, l’Agenzia regionale di sanità della Toscana ha coordinato uno dei gruppi di ricerca composto dai referenti di 12 paesi europei (Italia, Spagna, Francia, Olanda, Svizzera, Finlandia, Norvegia, Svezia, Polonia, Ungheria, Austria e UK). La ricerca ha indagato gli ultimi 50 anni, per cercare di capire come le differenti culture europee interagiscano in modo diverso con le politiche di prevenzione, influenzando in modo altrettanto diverso i cambiamenti del bere e dei danni alcol-correlati nella popolazione.
I risultati evidenziano che le variabili socio economiche e demografiche svolgono un ruolo fondamentale nell’indirizzare i mutamenti del bere: sono i contesti, quindi, ad incidere in maniera determinante (per il 60-90% e forse più) sui cambiamenti nei consumi alcolici, mentre le politiche di prevenzione lo fanno in maniera marginale (dal 30 al 10%). In particolare, per aumentare le probabilità di successo nelle popolazioni del sud Europa, le politiche europee di contenimento dei danni da alcol devono tenere conto delle modalità mediterranee di consumare alcol.
L’indagine ha studiato, per ogni paese, 6 diverse misure di politica alcologica preventiva relative a disponibilità di bevande, pubblicità, livello di alcolemia alla guida. In generale, le risposte alle politiche non sono state sempre corrispondenti alle attese. Inoltre si è rilevato che i fattori socio-economici e demografici sono riusciti a modificare informalmente quantità e tipologia del bere, modifiche che solo in seguito le politiche alcologiche hanno potuto al massimo consolidare. E’ il caso di Francia, Italia e Spagna, dove le politiche preventive sono nate da 5 a 15 anni dopo l’inizio della curva discendente dei consumi (ad esempio in Italia la riduzione è avvenuta all’inizio degli anni ‘60 e ‘70, mentre la prima legge alcologica nazionale, sui limiti alcolemici alla guida, è del 1988).
Ma lo studio Amphora ha dimostrato anche che alcune norme preventive hanno comunque più probabilità di successo nel controllo dei consumi: in particolare le norme di abbassamento del limite alcolemico consentito alla guida e quelle che limitano l’accesso alla vendita dell’alcol (come, ad esempio, i limiti agli orari di vendita dei locali e al consumo in luoghi pubblici in occasione di eventi di massa come concerti e partite). Fra i fattori socio–demografici considerati, l’urbanizzazione e l’aumento dell’età materna al momento del parto, oltre che l’incremento del reddito, hanno dimostrato di aver l’impatto maggiore sul cambiamento dei consumi. Per i paesi dell’Europa del Sud, con l’urbanizzazione sono aumentati i consumi di birra e si è ridotto il tradizionale consumo di vino.
Lo studio ha inoltre rilevato che i 12 paesi europei dello studio possono essere raggruppati in 3 gruppi comparabili di nazioni - Nord Europa, Sud Europa, Europa Centrale - considerando i cambiamenti dei consumi, dei danni alcol-correlati, dei fattori socio–economici e demografici e delle politiche alcologiche.
Riguardo il nostro paese, lo studio ha confermato che negli ultimi 40 anni in Italia, in modo simile agli altri paesi mediterranei e diversamente che nei paesi del nord-est Europa, si è ridotto sensibilmente il consumo di alcolici: tra il 1973 e il 2009 è crollato del 65%, in gran parte a causa della diminuzione del consumo di vino. Lo studio ha confermato che la diminuzione dei consumi (a partire dagli anni '60) dei prodotti di base della tavola contadina tradizionale - insieme col vino, anche il pane - si è accompagnata al progressivo aumento del consumo di carne (indice di un aumento del tenore di vita cittadino) e delle verdure (segnale della crescente attenzione alla salute e al mangiar sano, tipica degli ultimi venticinque anni). Parallelamente al decremento nei consumi di vino, le morti per cirrosi epatica in Italia si sono ridotte di più di un terzo.
In Toscana il vino fa tradizionalmente parte della dieta alimentare delle famiglie, ma gli stili di consumo dei più giovani sono invece più “globalizzati”, importati direttamente dai paesi nordici: grandi quantità di alcol, - birra, superalcolici e aperitivi, ma non vino – consumate fuori dai pasti in poche occasioni, soprattutto durante il week end. Nel 2011 in Toscana (dati Istat – indagine Multiscopo) la quota di bevitori di almeno una bevanda alcolica è pari al 67,3% (81,9% maschi e 54,0% femmine), in linea con la media italiana. Nel periodo 1998-2011 il trend dei bevitori in Toscana è in diminuzione quasi dell’8%, mentre in Italia la diminuzione si attesta al 4%. Se si valutano invece le quantità consumate, la Toscana è tra le regioni italiane con i valori più elevati: il consumo medio giornaliero pro capite è di 12,7 grammi nei maschi (poco più di 1 bicchere di vino al giorno) e 4,2 nelle femmine. La prevalenza dei bevitori a rischio (più di 4 unità alcoliche al giorno per i maschi e 2 per le donne) è in Toscana di poco superiore al valore nazionale: l’8,5% dei maschi (è l'8,1% in Italia) e l’11,4% delle donne (7,3% in Italia).
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