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Mortalità evitabile in Italia: Toscana tra le regioni più virtuose, ma in alcune province si può migliorare

prevenzione
È stato recentemente pubblicato l’aggiornamento del rapporto MEV(i) - Mortalità EVitabile (con intelligenza), a cura di Nebo Ricerche PA, che misura l’impatto delle morti evitabili in Italia, singole regioni e province, sulla base dei dati di mortalità ISTAT 2012-2014.
Il sistema di classificazione delle cause di morte consente infatti di individuare decessi potenzialmente evitabili con interventi di prevenzione primaria, diagnosi precoce e terapie mirate, adeguate condizioni igieniche e corretta assistenza sanitaria.
In questi tre gruppi tra loro non sovrapponibili rientrano in sintesi:
  1. prevenzione primaria - morti riconducibili a stili di vita non corretti e rischiosi per la salute (ad es. traumi, patologie circolatorie e polmonari legate a fumo, alcol, dieta o scarsa attività fisica, alcuni tipi di tumore);
  2. diagnosi precoce e terapie - tumori per i quali oggi esistono terapie efficaci e programmi di screening in grado di diagnosticare in tempo la malattia (ad es. tumore della mammella, del colon-retto);
  3. igiene e assistenza sanitaria - morti riconducibili a scarse condizioni igieniche o livelli di assistenza sanitaria non ottimali (ad es. alcune malattie infettive, malattie croniche del sistema circolatorio, polmonare o endocrino, complicanze della gravidanza, infezioni).
La somma dei tre gruppi fornisce l’impatto totale della mortalità evitabile nella popolazione, misurabile sia come tasso di incidenza che come giorni di vita pro capite persi, rispetto all’aspettativa di vita media.
Questa misura risente dei limiti che in generale hanno gli indicatori basati esclusivamente su dato amministrativo e non su un’osservazione clinica: non è possibile avere evidenza che il singolo decesso sia effettivamente dovuto ad una carenza del sistema sanitario o del sistema di prevenzione, ma fornisce una misura standardizzata per poter confrontare i territori e valutare l’evoluzione temporale del fenomeno.

I dati 2012-2014
In Italia ogni uomo perde in media 24,3 giorni di vita per cause evitabili, una donna 13,9. Generalmente l’impatto del fenomeno tra gli uomini è maggiore, in buona parte a causa di decessi riconducibili a stili di vita non corretti e fattori di rischio occupazionali (prevenzione primaria).
La Toscana è tra le regioni italiane che registrano il minor impatto di mortalità evitabile, 22 giorni pro capite persi tra gli uomini e 12,5 tra le donne, dietro a Marche, Veneto e Trentino Alto Adige (figura 1). Le mappe epidemiologiche riportate nel rapporto evidenziano due aree principali caratterizzate da livelli minimi di mortalità evitabile in Italia: la prima individuata da territori che si estendono tra Toscana, Umbria e Marche, la seconda tra Trentino Alto Adige e Veneto.

Figura 1. Giorni di vita persi pro capite per mortalità evitabile, per regione di residenza.
Triennio 2012-2014. Fonte: Rapporto MEV(i) 2017.
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Il trend toscano dal 2010 al 2014 mostra una sostanziale stabilità dell’incidenza della mortalità evitabile per diagnosi precoce-terapia e igiene-assistenza sanitaria, mentre si riduce l’impatto della mortalità evitabile con interventi di prevenzione primaria. Quest’ultima, rappresentando la tipologia di decessi evitabili più numerosa, è quella che offre i maggiori margini di miglioramento in futuro.

Il territorio toscano
I dati provinciali analizzano con maggior dettaglio il fenomeno, mettendo in evidenza alcune differenze territoriali in regione. In particolare è possibile distinguere un’area dell’entroterra orientale, che comprende le province di Prato, Firenze, Arezzo e Siena, con livelli di mortalità evitabile tra i più bassi in Italia. Spostandosi verso la costa tirrenica, però, alcune zone presentano criticità in almeno uno dei due generi. In particolare Lucca, Massa Carrara e Grosseto si trovano nella metà inferiore della classifica nazionale per provincia. In figura 2 le province toscane sono collocate nel grafico in base alla posizione che ricoprono nella classifica nazionale maschile e femminile, dividendo le province in 4 gruppi, dalle migliori (I) alle peggiori (IV). Le quattro province toscane più virtuose rientrano nel primo gruppo in entrambi i generi, mentre Grosseto, Massa Carrara e Lucca si collocano nel terzo gruppo di province in almeno uno dei due generi.

Figura 2. Posizionamento delle singole province toscane nelle classifiche nazionali, per genere.
Triennio 2012-2014. Fonte: Rapporto MEV(i) 2017.
figura2















Se dunque da un lato il rapporto evidenzia l’ottima performance raggiunta a livello italiano dalle province dell’entroterra toscano, contestualmente fa luce sulla disomogeneità interna alla regione e sulle criticità che permangono nelle province della costa settentrionale e meridionale. Queste zone sono storicamente contraddistinte da esiti di salute peggiore all’interno della regione e le cause, visto l’impatto consistente della mortalità evitabile con interventi di prevenzione primaria, potrebbero essere riconducibili a stili di vita non corretti e fattori di rischio lavorativi, anche in virtù del fatto che le criticità emergono con maggiore forza nella popolazione maschile, solitamente caratterizzata da maggiori problematicità di questo tipo, mentre gli indicatori di esito delle cure sono sostanzialmente uguali tra ospedali della costa e media regionale.
Continuare sulla linea già tracciata dal nuovo Piano regionale di prevenzione 2014-2018 può contribuire a ridurre il gap che separa la costa dall’entroterra, con azioni di prevenzione primaria sui giovani e secondaria sulle popolazioni a rischio per particolari situazioni di cronicità, estendendo programmi di prevenzione efficaci dal network “Interventi di prevenzione basati su prove di efficacia (EBP)”, di cui l’ARS fa parte, su promozione attività fisica e dissuefazione da fumo di tabacco.

mortalità evitabile, salute dei toscani

Stato di salute e risposta dei servizi in Toscana, la nuova Relazione sanitaria annuale

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  • area-approfondimento-in-dettaglio: Consulta e scarica la presentazione della RSR2015 fatta in conferenza stampa
copertina RSR 2015
La nuova Relazione sanitaria annuale, redatta a cura dell’ARS, mostra un quadro attendibile della realtà sanitaria regionale, in termini sia di descrizione del fabbisogno di salute della popolazione che della risposta dei servizi sanitari, con riferimento anche agli esiti di salute. L’anno 2015, a cui si riferisce questa Relazione sanitaria, precede in parte e costituisce una delle basi conoscitive fondamentali da cui nascerà il nuovo Piano sanitario regionale della Toscana.

La popolazione toscana all’inizio del 2016 ammonta a 3.744.398 persone ed è una delle più anziane d’Italia dopo Liguria e Friuli-Venezia Giulia, con circa il 25% di residenti anziani: 4 ogni 2 giovani con meno di 15 anni di età. Le nascite continuano a calare, anche per le donne straniere, che per anni avevano permesso un bilancio positivo demografico. Gli stranieri residenti in Toscana sono circa 400.000. La popolazione toscana è anche una delle più longeve d’Italia. Gli stili di vita dei residenti in Toscana vedono un miglioramento generale per quanto riguarda l’abitudine al fumo, con una riduzione dei fumatori dovuta soprattutto a chi smette di fumare piuttosto a chi non inizia mai, e principalmente tra gli uomini. Il consumo medio quotidiano di alcol è il più alto d’Italia, con un bicchiere di vino o una lattina di birra al giorno per un uomo e 1/3 di tale quantità per una donna, ma i ragazzi eccedono un po’ meno nel bere rispetto alla media italiana. I toscani praticano sport con più regolarità rispetto all’Italia, ma i sedentari sono il 36% è sono in leggero aumento rispetto all’anno precedente. Il consumo di sostanze tra i ragazzi è in lieve crescita, ma in linea o al di sotto della media italiana per alcune sostanze tra cui cocaina ed eroina, lievemente al di sopra, invece, per la cannabis.

La Toscana è tra le regioni italiane con la mortalità più bassa, 768 decessi ogni 100mila abitanti (802 in Italia). Circa due terzi dei decessi sono dovuti a tumori e malattie circolatorie, i progressi nella cura di queste patologie hanno quindi contribuito alla progressiva diminuzione della mortalità generale. In Toscana, inoltre, da alcuni anni è in corso un consistente processo di deospedalizzazione orientato all’appropriatezza, favorito dall’innovazione tecnologica e dalla gestione integrata dei problemi di salute sul territorio.

Le misure di esito sono utili per identificare le priorità nelle decisioni strategiche al fine di formulare politiche e programmi sanitari. Oltre la metà degli ospedali toscani non presenta criticità rilevanti in importanti problemi di sanità pubblica, traccianti degli esiti dell’attività ospedaliera, o su processi di cura, ad indicare problemi nei percorsi assistenziali. L’area medica denota un’importante variabilità, in alcuni casi anche esiti non favorevoli, in particolare rispetto al trattamento della riacutizzazione di BPCO. Gli esiti del trattamento delle patologie tempo-dipendenti sono buoni: la mortalità a 30 giorni da infarto miocardico acuto e ictus sono basse in tutti gli ospedali. Positivi anche gli esiti delle cure ortopediche, ad esempio negli interventi per frattura di femore, la cui tempestività si associa ad una mortalità bassa. In miglioramento gli esiti della chirurgia oncologica in alcune strutture rispetto agli anni precedenti. Da migliorare l’intervento di colicistectomia in alcuni ospedali, per quanto riguarda la chirurgia generale. Buoni gli esiti del percorso nascita e dell’assistenza cardiochirurgica, quest’ultima anche con due centri di eccellenza nel panorama non solo toscano, ma dell’intero Paese.

Anche quest’anno i ricercatori dell’ARS hanno cercato di sintetizzare ogni argomento all’interno di una scheda informativa aperta da uno slogan evocativo del contenuto. Il documento non entra nel merito della variabilità geografica degli indicatori all’interno del territorio toscano, ma si focalizza sul dato regionale nel suo complesso paragonato al dato medio italiano quando disponibile.

Scarica la Relazione sanitaria regionale 2015

demografia, aspettativa di vita, mortalità, stili di vita, esiti, salute dei toscani

In aumento gli anziani non autosufficienti assistiti al domicilio o in strutture sanitarie residenziali

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anziana non autosufficiente
Dal 2013 l’ARS ha un sistema di monitoraggio dell’assistenza territoriale agli anziani non autosufficienti. Sono monitorate l’assistenza domiciliare diretta (operatori sociali e sanitari che si recano a casa dell’anziano per fornire le prestazioni necessarie), l’assistenza residenziale (RSA) e l’assistenza domiciliare integrata o programmata (ADI/ADP) valutando accessibilità, continuità assistenziale ospedale-territorio, tempestività, efficacia e appropriatezza.Alle prime due l’anziano accede dopo una valutazione multidimensionale del bisogno sociosanitario che accerta la totale o parziale perdita dell’autonomia e definisce un piano di presa in carico adeguato alle risorse funzionali e sociali della persona, mentre l’ADI/ADP è attivata e gestita dai medici di medicina generale sulla base del quadro clinico del paziente.

Questi percorsi rappresentano una parte dell’universo delle prestazioni territoriali, domiciliari e residenziali, a supporto della persona. Gli altri percorsi, non considerati al momento dal sistema di monitoraggio ARS, sono l’assistenza domiciliare esclusivamente sanitaria, l’assistenza indiretta (contributo economico) e le cure palliative domiciliari.

Accessibilità
Nel 2015 gli anziani che hanno segnalato un bisogno di assistenza ai servizi sono più di 55mila (6% della popolazione al di sopra dei 65 anni), circa 3.500 in più rispetto al 2014. Gli anziani con un percorso di ADI/ADP attivato nell’anno sono stati 14.700 (16 ogni mille anziani residenti), mentre quelli presi in carico a seguito di valutazione multidimensionale, con definizione di un Piano Assistenziale Personalizzato e che hanno ricevuto nello stesso anno almeno un accesso di un operatore al domicilio o l'ammissione in RSA o Centro Diurno, sono stati 8.300 (9 ogni mille). A tali numeri, devono essere aggiunti quello degli anziani a cui sono state fornite risposte di tipo domiciliare indiretto (assegni di cura/contributi badante) e prestazioni “semplici” (sociali o sanitarie) inclusa l’assistenza domiciliare prestazionale (infermieristica). L’aumento dei presi in carico rispetto alla popolazione residente è avvenuto nell’assistenza domiciliare diretta e residenziale, mentre resta costante l’ADI/ADP (figura 1). L’aumento dei volumi di attività, pertanto, non è dovuto esclusivamente all’aumento della popolazione anziana residente, ma anche ad una maggiore copertura della domanda da parte dei servizi.

Figura 1. Anziani presi in carico ogni 1.000 anziani residenti, per regime. Anni 2014-2015. Fonte: Elaborazioni ARS su dati flusso regionale Assistenza domiciliare.
grafico assistenza non autosuff 

Continuità assistenziale ospedale-territorio
Dei 14.700 assistiti in ADI/ADP circa il 12% proviene dall’ospedale (dimesso da un reparto di area medica dopo almeno 7 giorni di degenza). Si dimezza la percentuale di anziani presi in carico in ADI/ADP a seguito di un ricovero ospedaliero che potenzialmente potrebbe beneficiare di un percorso territoriale alla dimissione: 13% nel 2014, 7% nel 2015. Va precisato che il numero di dimissioni ospedaliere potenzialmente eligibili per un percorso territoriale a seguire è cresciuto del 55% nell’ultimo anno (da 100mila a 155mila) e che questi numeri si basano su un criterio di eligibilità definito dall’ARS (dimissione da un reparto di area medica dopo almeno 7 giorni di degenza) che non tiene conto, ad esempio, dell’eventuale presenza di rete sociale che, da sola, potrebbe rispondere al bisogno.

Tempestività
Diminuiscono lievemente i tempi di attesa per l’erogazione del servizio a partire dal giorno della segnalazione del bisogno. Nel 2014 un anziano aspettava mediamente 4 mesi e mezzo per entrare in RSA, poco meno di 4 mesi nel 2015. Minore il guadagno per l’assistenza domiciliare diretta, circa 10 giorni in meno dei 3 mesi e mezzo nel 2014.

Efficacia
L’assistenza residenziale è più efficace della domiciliare nel prevenire gli accessi al Pronto soccorso per cause lievi (codici triage bianchi o azzurri). In RSA gli anziani effettuano in media un accesso all’anno, mentre tra gli assistiti al domicilio sono 1,2 a testa. Sono numeri alti, ma si tenga presente che si tratta di una popolazione anziana limitata nella propria autonomia e in condizioni di salute generale fragili. Le differenze tra assistenza domiciliare e residenziale sono quelle attese, vista la maggiore protezione che assicura il personale di una struttura residenziale.

Appropriatezza
Ci sono margini di miglioramento nell’appropriatezza del piano di presa in carico rispetto al quadro emerso in sede di valutazione multidimensionale. Circa un anziano su tre che, secondo criteri standard (grave compromissione dell’autonomia e scarsa/assente rete sociale), necessiterebbe di un inserimento in RSA vi accede effettivamente entro 3 mesi.
Migliore l’appropriatezza del piano domiciliare in funzione del bisogno dell’anziano. Gli accessi infermieristici al domicilio aumentano con l’aumentare del bisogno sanitario della persona, +50% di accessi in situazioni di compromissione dell’autonomia grave, rispetto a casi di compromissione lieve o moderata.

Le prospettive del sistema
Complessivamente il sistema si sta facendo carico dell’aumento della popolazione anziana, aumentano infatti le persone assistite al domicilio o in strutture residenziali. Tuttavia c’è una parte di bisogno che ancora non trova adeguata risposta sul territorio (ad esempio una parte delle dimissioni ospedaliere) e in generale si prevede un ulteriore aumento della domanda nei prossimi anni per l’invecchiamento della popolazione, l’aumento delle cronicità e la contestuale diminuzione di reti sociali di supporto familiari o di vicinato. Il quadro è mediamente positivo, ma l’aumento della domanda paventato potrebbe compromettere alcuni equilibri, incidere sulla tempestività della risposta e l’efficacia del piano assistenziale. Puntare sull’appropriatezza può favorire la tenuta del sistema, favorendo una risposta adeguata che indirizzi le risorse laddove c’è maggior bisogno.

La discussione con gli operatori
Nel mese di novembre questi dati verranno discussi insieme agli operatori delle Zone-distretto in occasione di tre incontri, uno per ogni Azienda USL, durante i quali verranno consegnati i report aggiornati. Gli incontri saranno luogo di confronto e discussione su quanto avvenuto, ma anche occasione per modificare o integrare il sistema di monitoraggio con nuovi indicatori.


non autosufficienza, salute degli anziani, assistenza territoriale, RSA, assistenza alla non autosufficienza

Da oggi tutti gli indicatori dell’ARS accessibili da un’unica pagina

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portali ARS Toscana indicatori
Da oggi è online una nuova sezione in home page del sito web dell’ARS, che fa da contenitore ai dati che l’Agenzia mette a disposizione di tutti.

Dalla nuova pagina si accede al set di indicatori che le Aziende sanitarie toscane e le Aziende ospedaliero-universitarie possono utilizzare per la redazione delle proprie relazioni sanitarie annuali, oltre al set di indicatori completo che l’ARS da anni calcola e pubblica sul proprio portale banche dati (ParsIS, Portale ars degli Indicatori Sanitari).

Gli utenti potranno consultare indicatori demografici, socio-economici, ambientali, dello stato di salute e dell’accesso ai servizi sanitari, con una prospettiva di popolazione (sulla base del territorio di residenza) o di erogazione (in funzione del presidio o della ASL che emette la prestazione sanitaria).

A seconda delle diverse fonti di dati, per ciascun indicatore si fornisce il valore aggiornato all’ultimo anno disponibile e il trend storico. Inoltre, all’interno delle schede informative sono riassunte le note tecniche che spiegano come è stato calcolato l’indicatore e qual è il significato.

Un indirizzo email è a disposizione per qualsiasi richiesta di chiarimenti.

Buona navigazione a tutti!


portali ARS
 

demografia, ambiente e salute, salute dei toscani, accesso dei cittadini ai servizi

Adolescenti e stili di vita, un’indagine della Fondazione Pofferi nella provincia di Pistoia

immagine convegno 14 maggio 2016 Pagina 1
Fabio Voller, dirigente del Settore Sociale dell'Osservatorio di Epidemiologia dell'ARS, sabato 14 maggio 2016 è intervenuto al convegno "Adolescenti e stili di vita, un'indagine della Fondazione Pofferi nella provincia di Pistoia organizzato dalla Fondazione Onlus Attilia Pofferi con il patrocinio della Società della Salute pistoiese e di ARS Toscana, presso l'aula "Marino Marini" della sede di Uniser-Pistoia.

Durante la relazione, dal titolo I dati del Progetto EDIT per il consumo di alcool, fumo di sigaretta e farmaci, sono stati presentati lo studio EDIT (Epidemiologia dei Determinanti dell'Infortunistica stradale in Toscana) e i dati emersi dall'indagine condotta nel 2015, volta a identificare i fattori di rischio associati agli incidenti stradali che coinvolgono i giovani toscani. In particolare, sono stati evidenziati i risultati relativi ai principali fattori di rischio, confrontando i dati degli adolescenti toscani con quelli riferibili all'Asl di Pistoia.

Nel corso del Convegno, sono stati inoltre presentati i risultati degli studi IPER Adolescenti e Strumenti di Salute che la Fondazione Onlus Attilia Pofferi ha condotto nelle scuole medie superiori della provincia di Pistoia negli anni scolastici 2012-13 e 2014-15 e analizzati a livello statistico con la collaborazione dell'Istituto per lo Studio e la Prevenzione Oncologica (ISPO) di Firenze.

fumo, alcol, droghe, salute dei ragazzi

2015: nati e morti, il saldo è negativo

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peopleUn articolo del Prof. Blangiardo (Università di Milano Bicocca) sul quotidiano L’Avvenire dell’11 dicembre scorso, ripreso in seguito dal sito Neodemos, richiamava l’attenzione sui decessi occorsi in Italia tra gennaio e agosto 2015, in forte aumento rispetto al 2014. Blangiardo stimava a fine 2015 circa 68mila decessi in più rispetto all’anno precedente (+11,3%), difficilmente attribuibili esclusivamente all’invecchiamento della popolazione.

Da allora il dibattito ha coinvolto demografi, epidemiologi ed esperti di organizzazione sanitaria. Istat ha subito precisato che la stima di + 68mila decessi era in realtà ancora da verificare, sottolineando al tempo stesso l’impossibilità di valutare le cause di questo aumento, perché l’informazione su età e cause di morte dei deceduti nel 2015 non saranno disponibili prima del 2017.

Neodemos è più volte intervenuta sull’argomento, mostrando analogie tra Italia e altri paesi europei (Francia, Spagna e Inghilterra) ed ipotizzando tra le cause dell’eccesso di mortalità l’ondata di calore estiva e l’epidemia influenzale. È vero infatti che i decessi sono concentrati nei mesi di gennaio, febbraio e luglio e hanno colpito maggiormente la popolazione più anziana e fragile. Supporta questa ipotesi anche la bassa efficacia del vaccino contro l’influenza 2014-2015, che secondo l’OECD si sarebbe attestato su valori più bassi dell’atteso per una mutazione del virus stagionale, e la minore adesione della popolazione anziana alla campagna di vaccinazione nel 2015, scesa sotto il 50% a seguito della segnalazione, poi risultata infondata, di problemi sanitari collegati al vaccino (fonte: elaborazioni Ministero della Salute - ISS, sulla base dei riepiloghi inviati da Regioni e Province Autonome).

Anche l’epidemiologia italiana ha partecipato al dibattito con contributi di Costa (Università di Torino, Servizio di riferimento regionale per l’epidemiologia del Piemonte) e di Michelozzi (Dipartimento di epidemiologia del SSR del Lazio, ASL Roma 1), in cui si conferma l’importanza dell’ondata di calore estiva, si esclude il ruolo delle temperature rigide invernali e si ipotizza l’effetto dell’influenza stagionale per i casi invernali.

A conclusione del dibattito, Istat ha recentemente aggiornato la serie storica degli indicatori demografici con le stime del 2015 (non consolidate), che parlano di 653mila decessi (10,7 per 1.000 abitanti), pari a circa 54mila decessi in più rispetto al 2014 (+9,1%). Il rapporto tiene a precisare che l’eccesso del 2015 sarebbe meno evidente se utilizzassimo come confronto il 2012, anno in cui i decessi sono stati 612.883. Nel 2013 i decessi sono stati 600.744 (-2% rispetto al 2012) e nel 2014 sono stati 598.364 (-0,4% rispetto al 2013). In pratica, nel 2013 e 2014 ci sono stati meno decessi rispetto agli anni precedenti. È plausibile allora che il picco del 2015 rappresenti un “effetto rimbalzo”, cioè una risposta proporzionata e contraria alle diminuzioni riscontrate nel biennio 2013-2014. I decessi in più del 2015 potrebbero essere sostenuti da persone sopravvissute ai due anni precedenti, arrivate al 2015 più anziani e fragili, tanto che un’ondata di calore o una mancata vaccinazione antinfluenzale può essere sufficiente a determinarne il decesso.

Il fenomeno demografico a nostro avviso più allarmante è invece la riduzione del numero di nascite: nel 2015 in Italia sono state solo 488mila (8 per 1.000 abitanti), nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia. Peraltro il numero medio di figli per donna continua a diminuire (1,35 nel 2015) e l’età media al parto continua ad aumentare (31,6 anni nel 2015). Il saldo della crescita naturale (nati – deceduti) è ora negativo, con -139mila unità rispetto al 2014 (-2,3 per 1.000).

La Toscana non fa eccezione, anzi, data la maggior anzianità della popolazione rispetto alla media italiana, il problema è più consolidato. Prosegue infatti inarrestabile l’invecchiamento della popolazione toscana (il 25% ha più di 65 anni), superata solo dalla Liguria (29% di anziani). Nel 2015 i decessi stimati in Toscana sono 45.796 (+10,3% rispetto al 2014), con un andamento mensile analogo a quello osservato a livello nazionale (vedi la figura sottostante).

Decessi mensili. Anno 2015. Fonte: Istat
grafico1

L’effetto diretto dell’aumento della mortalità nel 2015 è la diminuzione della speranza di vita alla nascita, che scende in Toscana di circa 0,3 anni: 80,7 anni per gli uomini, 85,2 per le donne. Una riduzione analoga a quella già osservata nel 2003, anno dell‘anomala ondata di calore estiva che interessò l’Europa centrale. La nostra regione mantiene valori dell’attesa di vita comunque al di sopra della media nazionale: 80,1 per gli uomini e 84,7 per le donne.
Il tasso di natalità toscano è pari a 7,3 per 1.000 abitanti ed in totale si osserva una riduzione di quasi 5 punti per 1.000 della popolazione rispetto all’anno precedente (vedi la figura sottostante). In Toscana come in Italia si è esaurita la spinta alla natalità osservata tra il 2005 e il 2010 e sostenuta dalle straniere, che avevano contribuito a compensare la riduzione della natalità tra le italiane.

Tasso di natalità (x1.000 abitanti) e tasso di crescita naturale (nati – deceduti)  (x1.000 abitanti). Anno 2015. Fonte: Istat
grafico2

L’aumento della mortalità osservato nel 2015 non arresta, quindi, il progressivo invecchiamento della popolazione, a causa della natalità ai minimi storici in Toscana e in Italia nello stesso anno. Gli indicatori demografici strutturali, che misurano il grado di dipendenza della popolazione anziana da quella in età lavorativa, arretrano ogni anno e prefigurano scenari in cui la rete del servizio sanitario regionale dovrà farsi carico di casistiche di cronicità e non autosufficienza crescenti.


Riferimenti:

demografia