La cronicità è in aumento, per il progressivo invecchiamento della popolazione e i progressi nelle cure, ma sta assumendo caratteri che alcuni esperti considerano epidemici: aumento superiore all’atteso come naturale conseguenza dell’invecchiamento della popolazione. Aumenta in particolare la multimorbilità (presenza di più malattie concomitanti), condizione che rende più complessa la presa in carico della persona.

In Toscana sono circa 1 milione e 450mila i cronici, 444,8 ogni 1.000 abitanti d’età 16+ anni. Circa 6 su 10 hanno più di 65 anni e il 54% sono donne. Dopo i 65 anni la prevalenza sale a 759,1 malati ogni 1.000 abitanti. I malati aumentano con l’età, ma anche con il livello di deprivazione sociale e materiale (proxy del livello socioeconomico e culturale della persona).
L’ipertensione è la malattia più diffusa (1 milione di persone, 308,7 ogni 1.000), seguita dalla dislipidemia (818mila, 251 per 1.000) e dal diabete (247mila, 75,7 per 1.000). Si tratta delle prime tre patologie in entrambi i generi.
Le differenze di genere riguardano alcune malattie in particolare. Tra gli uomini sono più diffuse le malattie del sistema cardiocircolatorio, tra le donne le malattie reumatiche, sclerosi multipla, disturbi mentali e demenze.

Più della metà (53,2%) dei malati soffre di almeno due patologie diverse. Tra gli uomini i casi di multimorbilità sono più frequenti: i malati cronici sono gli stessi delle donne, ma mediamente hanno più malattie. Il numero di patologie concomitanti aumenta con l’età: le malattie che tendono a non presentarsi da sole sono quelle che si manifestano in età più avanzate, per l’effetto cumulativo di esposizioni a fattori di rischio e/o come evoluzione finale di altre condizioni cliniche pregresse.
Tendono a presentarsi insieme le malattie che hanno fattori di rischio comuni e sono legate da relazioni causali bidirezionali. È possibile individuare più chiaramente due gruppi: cardiovascolare (ipertensione, cardiopatia ischemica, insufficienza cardiaca, dislipidemia, diabete, fibrillazione atriale, arteropatie, insufficienza renale) e neurologico (demenza, parkinson, epilessia e disturbi mentali).
Poco più di 1 cronico su 10 (12,3%) ha avuto anche una diagnosi di tumore nella vita. I tumori sono più frequenti tra i malati di epilessia, malattie infiammatorie croniche intestinali e bronchite cronica (BPCO).
Tra i malati di demenza e sclerosi multipla sono più frequenti i casi di non autosufficienza. Seguono ictus, disturbi mentali e Parkinson, tutte malattie che hanno effetti noti sulla funzionalità neuromotoria e l’autonomia della persona.

Il 53,1% dei decessi annui è attribuibile alla cronicità. All’ipertensione, principalmente per la sua diffusione, è attribuibile il 15,7% dei decessi annui. Seguono la demenza (12,9%), l’insufficienza cardiaca (8,6%), la BPCO (8,1%) e il diabete (6,1%).

L’impatto della cronicità sui servizi è rilevante per le prestazioni territoriali (assistenza domiciliare/residenziale, farmaceutica), mentre è minore per ricoveri/Pronto soccorso e specialistica ambulatoriale, dove altre malattie (acuzie, traumatismi in primis) hanno sicuramente un peso maggiore.
Il 77,7% degli accessi di assistenza domiciliare e il 61,5% degli ingressi in RSA sono attribuibili alla cronicità. Le erogazioni farmaceutiche attribuibili sono il 71%, mentre quelle di riabilitazione il 59,8%. Valori inferiori per l’assistenza specialistica (35,5%), ingressi in Hospice (35%), ricoveri (31,7%) e accessi in Pronto soccorso (18,6%).

La metà della spesa sanitaria totale (ospedaliera, farmaceutica e specialistica) è attribuibile alla cronicità. Per il territorio, la percentuale sale al 54,1% e raggiunge il 66,4% per la spesa farmaceutica. Scende invece al 42,5% e al 36,3% rispettivamente per la spesa ospedaliera e specialistica ambulatoriale.

Se si vuole limitare l’impatto delle malattie croniche, auspicando un aumento della sopravvivenza media alla diagnosi grazie alla sempre maggior efficacia e appropriatezza dei piani di presa in carico, è auspicabile una diminuzione dell’incidenza di nuovi malati, raggiungibile con programmi di prevenzione che agiscano sui principali determinanti: stili di vita e diseguaglianze in primis.



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